OSSI DURI - La storia di Simone

PER LA RUBRICA “OSSI DURI”

LA TESTIMONIANZA DI SIMONE

In una calda ed assolata giornata di inizio estate del 1979, alle 13:00 del pomeriggio mi affacciai per la prima volta in questo mondo. Ero un bel bimbo, sano, amato dai genitori e le mie uniche esigenze erano mangiare e dormire. Si cresce, si impara ad affrontare la vita. Non sempre, tuttavia, si è pronti. Sicuramente io ho dovuto fare un corso accelerato. Infatti, a circa undici anni, fui colpito da un osteosarcoma ad alto grado di malignità al femore distale destro. Posso solo dire che è stato come vivere un incubo. Anzi l’idea rende parzialmente. Quando si fa un incubo per intenderci, ci si sveglia tutti sudati ed in preda al panico, ci si mette un po’ di tempo per realizzare che si è fatto solo un brutto sogno, che è tutto a posto, insomma, poi ci si calma e si tornare a sognare sereni. Nel mio caso, invece vivevo letteralmente un incubo! Avevo improvvisamente perso la mia routine quotidiana, le mie energie, i miei capelli, la mia felicità. Era come se fossi in lutto. Secondo la teoria di Elisabeth Kübler-Ross, il lutto prevede cinque fasi:

Negazione: il dolore profondo viene minimizzato attraverso il ricorso alla negazione dell’accaduto.

Rabbia: la persona in lutto si arrabbia per la perdita subita.

Contrattazione: la persona in lutto cerca di negoziare con sé stessa o con Dio per evitare la perdita.

Depressione: la persona in lutto si sente triste e depressa.

Accettazione: la persona in lutto accetta la perdita e cerca di andare avanti.

Bene, direi che io le ho passate tutte e cinque. Dopo i primi mesi di chemioterapia, mi venne una grave immunodepressione e così persi anche la voce a causa di una stomatite. Potevo solo scrivere per comunicare. Grazie ai medici, alla forza che mi trasmetteva la mia famiglia sostenendomi sempre, grazie al buon Dio, riuscii a riprendermi un pochino in modo da affrontare l’intervento chirurgico di resezione del femore, ricostruzione con innesto osseo intercalare e perone vascolarizzato controlaterale. In parole più semplici, un’operazione chirurgica durata circa 12 ore. Fu durissima, soprattutto la riabilitazione e continuare la chemioterapia ma dopo quasi un anno finalmente venivo dimesso e potevo tornare a casa senza l’incubo di dovermi continuare a ricoverare per eseguire cicli di cure. Ovviamente dovevo fare controlli periodici, non camminavo bene come prima ma avevo la possibilità di tornare alla mia routine quotidiana. Purtroppo, però, niente era più lo stesso. I bambini erano diventati ragazzi, io ero diventato uomo ma ero pur sempre uno di loro. Tutto divenne tremendamente complicato. Appena operato, ricordo che, mentre ero in attesa di ricominciare l’ennesimo ciclo di chemioterapia, promisi a me stesso che se ce l’avessi fatta a sopravvivere, avrei fatto il medico, anzi, l’ortopedico oncologo. Così mi misi a studiare, insieme a mio fratello, come un matto. Purtroppo, tuttavia, dopo 3 anni, si ruppe il femore trapiantato. Non avevo avuto traumi; eppure, si ruppe come un grissino. Mi spiegarono che l’impianto era fallito, il perone vascolarizzato in parole povere era morto e così, come un ponte abbandonato alle intemperie era crollato. Altro intervento chirurgico, sempre lo stesso tipo stavolta utilizzando il perone residuo, altra riabilitazione….

Nonostante tutto, mi rialzai nuovamente in piedi. La promessa che mi ero fatto la mantenni e mi laureai insieme a mio fratello in medicina e chirurgia con 110 e lode! Mi specializzai in ortopedia insieme a mio fratello e si iniziò a lavorare entrambi come ortopedici oncologi proprio nel reparto che mi vide paziente anni prima. Mi appassionai di chirurgia vertebrale, poi il destino e le mie scelte mi portarono a Firenze dove mi sono sposato e diventato padre di 2 bambini. Non dimenticherò mai il passato e le persone che mi hanno aiutato. Vivo da allora la vita come se ogni giorno fosse l’ultimo. Cerco di godere degli attimi fuggenti di felicità, cerco di aiutare chi soffre. Perché io sono ancora qui? Forse per raccontare la mia storia, dare speranza e coraggio a chi come me ha dovuto vivere un incubo? La risposta non la conosco. Nel dubbio, ho scritto un libro che raccontasse la mia esperienza. Si intitola: “La vita è una corsa impazzita verso la felicità”. Spero lo leggiate in tanti, non solo pazienti oncologici o loro familiari, ma anche chi vive la propria vita senza rendersi conto di quanto si è fortunati a stare bene. Purtroppo, la felicità si apprezza e si comprende solo quando la si perde. Spesso ci si lamenta del proprio lavoro, della monotonia delle giornate che passano, non si è mai appagati come se ci mancasse sempre qualcosa per essere felici. Probabilmente la nostra vita andrebbe vista con uno sguardo diverso, meno egoistico, più consapevole di quanto tutto sia precario e per questo apprezzata per quello che è, un dono. Per la copertina del libro ho scelto un quadro del mio pittore preferito Vincent Van Gogh: la notte stellata sul rodano. Scrisse una lettera al suo adorato fratello Theo (Arles luglio 1888) che vi riporto così come ho fatto nel libro. In fin dei conti è in sintesi quello che penso anche io della nostra esistenza.

“La vista delle stelle mi fa sempre sognare, come pure mi fanno pensare i puntini neri che rappresentano sulle carte geografiche città e villaggi. Perché, mi dico, i punti luminosi del firmamento ci dovrebbero essere meno accessibili dei punti neri della carta di Francia? Se prendiamo il treno per andare a Tarascon oppure a Rouen, possiamo prendere la morte per andare in una stella. Ciò che però è certamente esatto, in questo ragionamento, è che essendo in vita non possiamo arrivare in una stella, non più di quanto, essendo morti, possiamo prendere il treno. Comunque non mi sembra impossibile che le malattie possano costituire dei mezzi di locomozione celeste, così come i battelli, gli omnibus e il treno sono mezzi di locomozione terrestri. Morire tranquillamente di vecchiaia sarebbe come viaggiare a piedi”.

Simone, un Osso Duro 🧡

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