OSSI DURI – La storia di Mascia

Mi chiamo Mascia e ho deciso di raccontare la mia storia sperando di dare sostegno alle persone che oggi stanno affrontando lo stesso calvario che ho vissuto io tanti anni fa.

Avevo 14 anni, quando nell’ottobre 1987 notai un bozzo sulla tibia sinistra.

Dopo le prime visite, mi dissero che poteva trattarsi di una malformazione ossea, di stare tranquilla e che dopo Natale si sarebbe deciso cosa fare.

Trascorse le feste, tornai al Centro Ortopedico di Cagliari e decisero di ricoverarmi presso l’Ospedale Marino. Iniziai a fare tac, risonanze, scintigrafie. Non sapevo molto ma notai che i miei genitori erano diversi: i loro occhi si erano spenti.

Un giorno sentii mio padre litigare con il Primario: “Voglio portare visa mia figlia!”.

Così, ignara di tutto, fui trasferita da Cagliari a Milano. Mi ritrovai al “Centro per la cura dei tumori” a fare delle visite mediche con Umberto Veronesi, nonostante l’osteosarcoma non fosse il suo campo. Mi dissero che si trattava di semplici visite ma io, ormai, avevo capito che c’era qualcosa di più.

Nell’aprile 1988 fui ricoverata in Pediatria. Vidi tanti bimbi amputati, senza capelli, e capii che non avevo una semplice malformazione. Facevo domande ma le risposte erano vaghe. Iniziai cicli pesantissimi di chemioterapia, 24 ore su 24, per 5 giorni consecutivi, 2 giorni di lavaggi, poi di nuovo. 7 cicli così, ognuno durava poco più di un mese, uno dei farmaci più distruttivi era la “Vincristina”.

Ero a Milano con mia madre, non vedevo da mesi il resto della mia famiglia. Ad un certo punto, interruppero le cure per un blocco renale, non avevo più piastrine. Camera sterile, una volta stabilizzata mi fecero finalmente tornare a casa per dieci giorni ma ebbi delle complicazioni. Quando tornai a Milano ripresero con la chemioterapia. Ormai ero la mascotte, tutti i medici, infermiere mi volevano un bene immenso. Andavo a scuola: il reparto per noi bambini era piccolo ma c’era la sala giochi e la scuola, insomma era diverso dagli altri ospedali, ma poi dovetti cambiare.

All’Ospedale “Gaetano Pini” mi fecero un trapianto osseo della tibia sinistra, poi ancora cicli di chemioterapia. Ho visto tante cose che non scorderò mai. Porto dentro di me il ricordo dei bambini che ho conosciuto ma che purtroppo non hanno vinto questa guerra. Ricordo Valerio, Cinzia, Laura, Patrizia, Davide, Paolo, Nazareno e tanti altri.

Mi dissero, dopo diversi anni, che non avrei potuto avere figli per via delle cure devastanti. Per dieci anni sono stata sotto controllo presso il “Gaetano Pini”.

Sono passati 33 anni da allora, ho avuto una bambina che oggi ha 11 anni.

La chemioterapia ha devastato il mio sistema immunitario, con non poche conseguenze ma ci “VIVO”: faccio ancora i miei controlli e sento ancora oggi la pediatra che mi curò.

Non dimenticherò mai i miei “amichetti” e forse la cosa che mi devasta di più oggi, è ciò che ho visto nel reparto di pediatria oncologica per anni ma cerco di essere una roccia anche per loro.

P. S. Mio padre litigò con il primario in Sardegna perché gli disse: “Non permetto che la ragazza venga portata via da qui. Ha pochi mesi di vita. Butterebbe via solo soldi nelle visite a Milano ed accorcerebbe il suo periodo di vita per via dello stress”.